11.00 ore di volo. Classe turistica. Famiglie sudamericane. Bambini che piangono. Musica hip-hop latina.
Scendo dall’aereo abbastanza ribaltato.
L’altimetro del mio orologio segna 2.600 mt di altitudine… sento l’aria rarefatta… devo essere in Colombia.
Scendo dall’aereo, perquisa del bagaglio a mano: devo essere in Colombia.
Arrivo al desk dell’immigrazione “chi sei, che lavoro fai, dove dormi, quanto ti fermi”, potrei essere anche negli USA, se non fosse che l’ispettore che mi fa le domande ha anche un mitra al collo: devo essere in Colombia.
Vado al ritiro bagagli trovo la valigia ammucchiata insieme ad altre in un angolo dimenticato da Dio: devo essere in Colombia.
Ci vengono a prendere con un pickup che in una mezz’oretta ci porta la nostro albergo. Le strade di periferia sono un ammasso di grattecieli che sembrano poggiarsi su baracche e garage i cui muri riportano qualche foro di proiettile, ma soprattutto un sacco di murales raffiguranti el majicho… Pablo Escobar: sono decisamente in Colombia. Il pickup si ferma nel traffico congestionato proprio davanti ad uno di questi murales con Pablo. Tirare fuori la macchina fotografica sembra uno sforzo immane e mi viene il fiatone per la carenza di ossigeno a cui il corpo non si è ancora abituato. Il conducente mi dice di rimetterla via: in questa zona della città potremmo diventare bersaglio di ladrones se mi vedono con una Nikon D90. Mmmm meglio riporre il ferro.
Arriviamo nella zona più antica e coloniale di Bogotà, La Candelaria. Il nostro albergo è una vecchia casa colonica su tre piani. La Polizia Nazionale presiede l’ingresso e al nostro passare si mette sull’attenti (!!!). Alla reception, una donna in divisa ci accoglie con un “Bienvenido in Bogotà” .
Mi scappa un “sti ca**i!!”.
Ragazzi che impatto! Qualcuno di voi avrà sicuramente viaggiato più di me, ma questo impatto con la capitale mondiale della cocaina, credo che me lo ricorderò. Salgo in camera, mi sbatto sul letto e guardo il mio passaporto: timbro dello Stato di Jamaica; timbro della Repubblica Colombiana. I due maggiori produttori mondiali di droga… cacchio sembra il passaporto di un narcotrafficante 😉
Non capisco più che giorno è e che ore sono. Decido di fare due passi in zona per acclimatarmi, mangiare una sopita con patate e delle salciccie, bere una birretta e poi di corsa a letto, schiavo del jetlag.
Sono sicuro che Bogotà mi ha già mostrato il suo lato più cattivo. Credo che sia una forma di difesa messa in atto da un popolo che per generazioni ha subito le oppressioni dei conquistatori spagnoli, dei missionari cattolici nel periodo della “conversione-forzata”, delle diverse dittature ed oppressioni militari.
Voglio andare a letto e dormire. Svegliarmi domani mattina e scoprire la città dalle forme e atmosfere morbide dei quadri di Botero.
Sono sotto l’equatore. Guardo un foto. Guardo fuori dalla finestra. Lassù, sopra l’equatore qualcuno si sta già svegliando 🙂
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