|Se esistono le parole per dirlo, è possibile|

Ecco che nella notte di Halloween, il dato per disperso… ritorna.
Che fine ho fatto? Rompo il silenzio stampa e vi confido che non sono stato ar gabbio.
Ammetto che ho un archivio di bozze, pensieri, parole, opere ed omissioni lasciati a metà; un po’ perché non mi convincono, un po’ perché non ho tempo, un po’ perché dopo una giornata passata davanti al mio JurassickBook, ho voglia di tutto tranne che di riaprirlo.
In questo mese e mezzo mi sono dedicato alle seguenti attività:
– Un tagliando necessario al fisico
– Mi sono emozionato seguendo i passi di chi* ha iniziato una nuova avventura professionale
– Ho impresso nella memoria e su scheda digitale il matrimonio di Dade e Paoli
– Ho corso poco
– Ho photoshoppato abbastanza
– Ho letto molto
– Ho ascoltato tanta musica
– Ho fatto ballare gente
– Ho fatto volontariato
– Ho visto molto il cielo di Torino
– Ho sbagliato
– Ho trovato il mio totem
– Ho compilato una constatazione amichevole
– Ho abbracciato il mio amico Guasco che è diventato padre di Margherita
– Ho ascoltato Mariasole pronunciare il mio nome per la prima volta
– Ho mangiato la pizza con dei tredicenni
– Ho imparato a fare le zuppe e le verdure fusion saltate in padella
– Ho fatto i biscotti G&C
– Ho stretto i miei primi biglietti da visita tra le mani (distribuendone anche qualcuno)
– Ho scoperto l’essenza del Post-It
– Vi ho tenuto d’occhio
– Sono andato a letto presto (cit.)

Ho scoperto una grande verità, o forse solo l’acqua calda.
Ho scoperto che se esistono le parole per dirlo, allora è possibile.
Nuovo tema… nuovo pay-off.

Riformulare il calendario

Agosto è sempre stato un mese freddo. Avete mai sentito Giuliacci o il fù Bernacca parlare di “medie stagionali superiori alla norma” in Agosto? Ma nooo, succede solo in Giugno o Luglio. Se devo proprio dirla tutta, Agosto non mi è mai stato molto simpatico. Quando ero piccolo voleva dire conto alla rovescia all’inizio della scuola o gli esami in università, meno tempo per giocare o stare fuori con gli amici, avere l’ansia dei compiti delle vacanze che non potevano più essere rimandati (soprattutto l’anno in cui mi avevano dato matematica a settembre… mortacci), non sapere bene dove andare, cosa fare (soprattutto dopo la sagra cittadina di S. Bartolomeo), sperare che arrivasse l’inverno. Agosto era il mese in cui scrivevo lettere ad amici e amiche conosciuti in vacanza. A Settembre mi ero già rotto i cogli**i di scrivergli. Insomma, mentre Giugno e Luglio sono vibranti, Agosto odora di fine estate.

Negli ultimi anni poi Agosto si è tinto di colori surreali. E’ stato il mese in cui andavo a lavorare all’estero (Londra in primis e poi Usa); due anni fa ero in marcia verso Santiago de Compostela.

Caro Agosto, solo ultimamente ho scoperto alcuni tuoi lati tenuti nascosti. Sei anche il mese della progettualità e del desiderio di rimetterti in gioco a 360°. Diciamocelo, l’anno nuovo non inizia a Gennaio, inizia a Settembre e si porta un sacco di buoni propositi (smetto di fumare, mi iscrivo al corso di inglese, spagnolo, fotografia, cucina, nuoto, palestra, bungee jumping e bla bla bla). Agosto quindi è un po’ come Dicembre, non solo freddo (e qui sostanzio il mio esordio di post), ma può colorarsi e riempirsi di aspettative.

Lo so, è molto contorto come pensiero, per questo lo scrivo ora mentre siete tutti in vacanza e non legge nessuno 😉

Anche il sottoscritto è in vacanza e solo di passaggio a casa per mettere in lavatrice felpa e pantaloni da olandese, e tirare fuori dall’armadio racchettoni e costume da riviera romagnola.

Anche a sto giro il sottoscritto non farà come i bloggher più cool e le bloggher più fescion che pubblicano post live on-the-road, e non si porterà il suo jurassic mac book da quindici pollici.

Al suo rientro aspettatevi però uno storyboard fatto di immagini e parole delle sue/loro vacanze.

Perchè da un certo punto in poi ha iniziato a parlare in terza persona?
Non lo sa.

Agosto Agosto… finalmente ti conosco!!!

E così abbiamo deciso di partire. Dopo un lunghissimo inverno, una fredda primavera ed un’estate iniziata sotto il segno degli sbatta (concedetemi lo slang milanese) per qualcuno lavorativi, per qualcun’altro familiari, è arrivato il momento di riempire lo zaino, caricare le batterie della macchina foto, fare la playlist dell’Estate 2010, scegliere un libro, prendere l’EstaThe (rigorosamente in brick, rigorosamente al limone).
A sto giro si va in Olanda, restando qualche giorno ad Amsterdam e qualche giorno ad Utrecht, punto di partenza per esplorare la campagna olandese in bicicletta. Oltre a non essere mai stato in Olanda, la grande novità è che si tratta del primo viaggio in vita mia, da me non organizzato! 😀  Fi-ga-ta
Che bello non avere il controllo sulle cose e poterti fidare di qualcuno.

In questo momento della mia vita in cui la mia sensibilità creativa è orientata al vintage Anni Settanta – dalle sonorità, ai vecchi film, agli effetti Polaroid di fotosciop  – vi saluto con un tormentone estivo… ma che  niente ha a che fare con il waka waka.
Loro sono gli Ex-Otago che ri-arrangiano un vecchio tormentone estivo.
E dato che quest’anno non vogliamo farci mancare proprio niente, perchè non fare un salto in Riviera Romagnola andando con una bici a scatto fisso?

Patrizia Valduga, poetessa e traduttrice italiana, scrive:

“Io sono sempre stata come sono,
anche quando non ero come sono,
e non saprà nessuno come sono,
perché non sono solo come sono”.

Mi sono imbattuto casualmente in queste parole spulciando il blog di Sua Maestà Benedusi Settimio. Tra qualche giorno si parte e puntualmente, prima di ogni viaggio, scorazzo per siti di fotografia, sfoglio riviste e guardo il National Geographic Channel… così, giusto per risvegliare la mia sensibilità per le immagini dopo un anno passato a dar maggior ascolto alle parole.

Beh, da quando mi sono imbattuto in queste parole, ho iniziato a ripetere questa quartina come un mantra, compulsivamente. Spesso ce ne dimentichiamo, soprattutto nei momenti più difficili, quando l’unica cosa che tendiamo a mettere in discussione siamo noi stessi, la nostra vita, la nostra professionalità, la nostra capacità di amare e lasciarci amare. Non è proprio il caso di scomodare Sigmund Cheduepalle Freud per sapere che siamo spesso infinitamente severi con noi stessi (e lasciamo stare l’autorità del Super-Io).

Noi siamo i ricordi della nostra infanzia, le fotografie sbiadite su carta chimica, i racconti dei nostri nonni, le rughe sui volti dei nostri genitori, i segni sul nostro corpo, lo scatolone dei giocattoli, i libri dalle pagine ingiallite sulle mensole, il lavoro che ci piace fare e quello che desideriamo. Siamo le delusioni e le perdite che ci troviamo ad affrontare e a cercare di colmare.

Dimenticando tutto questo tutto questo… dimentichiamo chi siamo.

Detto ciò, io sono in ferie e NOI si va in vacanza.
Dall’Isola del Giglio alla Terra del Papavero. Si va in Olanda.
Si smette di correre (ma solo per un po’) per andare in bicicletta.

Speriamo di perderci… e ritrovarci ‘tillsammans’ 🙂

Buona Estate

La vita è come il Tetris

Giornate segnate da attaccamento alla vita, compleanni, addi al celibato e nubilato, battesimi, matrimoni. Mi viene da pensare all’esperienza, che è inversamente proporzionale alla gioventù: si colma la perdita dell’una con l’acquisizione dell’altra.

In periodo di Mondiali, mi viene da dire che l’esperienza gioca in difesa quando la gioventù gioca in attacco, e nel loro equilibrio si sviluppa la vita.
Sì, penso che la vita non sia come la scatola di cioccolatini della mamma di Forrest Gump. Penso che la vita sia come il Tetris. Si può nascere pezzo quadrato, pezzo lungo, pezzo a T o pezzo a L. Non importa che pezzo nasci. Quello che si deve cercare è l’incastro. Possiamo ruotare o accelerare la discesa/ricerca, e ci è dato un intervallo di tempo per prendere la decisione.

Fare l’amore è un incastro perfetto.
Giocateci… a Tetris 😉

32 volte 4 Maggio

My HAPPY Birthday
Nei giorni che precedono il mio compleanno sono sempre un pò nervoso. E’ sempre tempo di bilanci. Non importa che giorno sia della settimana, ma per me è sempre lunedì, un 7 gennaio, un primo giorno di lavoro dopo le ferie estive. Mi fa venire voglia di prendere in mano l’agenda, sfogliare le pagine della mia vita indietro nel tempo, e poi sfogliare in avanti le pagine bianche…
Poi sollevo gli occhi dall’agenda e mi guardo intorno: vecchie foto, libri dalle pagine ingiallite. Tutto ha una storia e mi dice chi sono stato e chi sono oggi.
Guardo negli occhi una persona speciale e mi è chiaro cosa voglio essere… per questo oggi è il mio felice compleanno 🙂
G

Dal Giulio 2.0 al Fuorisalone 2.0, che anche per quest’anno “se lo semo levati da le palle”.
Come il Natale, o altre feste, lo aspettiamo per un anno intero; quando arriva lo iniziamo un po’ a detestare, e poi ricominciamo ad aspettarlo. Se il Natale arriva con un seguito di buoni sentimenti, regali, caramelle e bla bla bla, il Salone del Mobile travolge Milano con mobili 😐 ed un seguito di coloro che chiamiamo più comunemente pazzeschi. Ora, immaginatevi che sia Piero Angela a leggere queste righe, perché di fauna andremo a parlare.
La specie dei pazzeschi è composta non solo da architetti, designer, e addetti ai lavori, ma anche da tutta una serie di giornalisti, fotografi, pubblicitari, video-maker e, soprattutto, coloro che non ci capiscono un cazzo di design… ma che devono esserci. Prima di proseguire, ci tengo a precisare che la categoria dei pazzeschi, mi incuriosisce,  mi diverte molto e mi è di gran lunga più simpatica di tutta la gente che ruota intorno al mondo della moda: la specie dei pazzeschi è di gran lunga più socievole ed aperta all’estraneo e al diverso. Come in tutti i gruppi di appartenenza sociale, l’importante è riconoscerli e parlare/capire il loro linguaggio.
Come si riconoscono? Innazitutto dall’abbigliamento: skinny jeans o pantaloni strettissimi al ginocchio (pantacalzaloni) da cui fuoriescono calze fluo o a righe, e mocassini a punta in alternativa a sandali o sneakers. Se dalla vita in giù l’abbigliamento è decisamente stretto, sopra l’ombelico si veste oversize e destrutturato (la mia mentore mi ha detto che quest’anno la giacca destrutturata “va un casino” 😮 ). La barba rigorosamente incolta e gli occhialoni sono fon-da-men-ta-li insieme a delle shoppers (borse della spesa), piene di inviti per after-party stampati su poliplat (volantini e opuscoli di feste stampati su del polistirolo pressato), stickers (patacconi),  gadget pins(minchiate ciulate dagli espositori).

Se le serate sono un festival dello sfascio a ritmo di una musica minimalista quanto i nuovi concepts e trends d’arredamento, la giornata è fatta di grande camminate tra le location della Zona Tortona e Romana, discorsi su cosa ciascuno ha on-air e abbuffate di cibo rigorosamente bio e salutare.
Il pazzesco è fan dell’ecologia e della bicicletta, che deve essere rigorosamente customizzata (truccata) e a scatto fisso o fixed (senza cambi e senza freni). Anche io da piccolo truccavo la graziella di mia mamma colorandola, togliendoci i freni e mettendo il cartoncino tenuto con la molletta tra i raggi, ma è un altro discorso.


Ora, la cultura dello scatto fisso nella bicicletta è tipica dei paesi nordici e dell’area fiamminga dell’Europa; è una filosofia di vita che vuole ritornare alle origini del ciclismo e riportare la bici alla sua concezione primordiale. Peccato che lo strumento deve essere sempre adeguato al contesto: voi andreste in giro con una bici da 800 Euro senza cambi, senza freni, e con le ruote da corsa, per Milano? Se sopravvivete allo smog, al pavè, ai binari dei tram, alla “civiltà” degli automobilisti milanesi, all’assenza di piste ciclabili, e ai furti… beh allora siete pazzeschi a tutti gli effetti 🙂
Vi lovvo un casino zii! 😀
G

Riprendo in mano il blog dopo parecchio tempo. Quasi non ricordavo più il nome utente e la password al momento del login e un po’ mi sono sentito in colpa, per aver trascurato a lungo questa ‘piccola creatura’.
Il mio bel daffare con la scrittura non mi è però mancato: un libro da tradurre, correggere e rileggere, due capitoli per due altrettanti volumi da scrivere, correggere e rileggere, un articolo da riscrivere, correggere e rileggere… eccheccacchio! Poi libri di psicopatologia da ristudiarsi, lezioni da preparare, slides da comporre: ammetto che in tutti questi mesi non vedevo l’ora di stare lontano da una tastiera.
Se devo riassumere in due parole questi mesi, lasciatemi dire: ho cominciato a correre. Avete capito bene, non ho detto che ho ri-cominciato a correre. Sono proprio partito da zero! Non te ne accorgi e in un attimo sei per strada. Inizialmente non fai altro che fissare la punta delle tue scarpe tenendo la testa bassa poi, improvvisamente, alzi la testa, guardi alla tua destra e scopri che finalmente c’è qualcuno con cui correre… e che è mooolto meglio 😀
… e poi lo dicono tutti che correre fa bene al cuore.

PS: quando corro non mi faccio prendere mai dall’ansia del tempo… non ho fretta 😉

Giulio… 2.0

In questi giorni sto delirando per la chiusura della traduzione di un libro. Ho avuto giornate più libere e meno cariche di lavoro per poter aggiornare il blog e in questo momento vorrei fare qualunque cosa piuttosto che starmene davanti allo schermo del mio PowerBook jurassico a scrivere. Erano mesi infatti che non scrivevo e non aggiornavo il blog, ma vi ricordate quali erano i patti: queste pagine non sono una prescrizione. Oggi ho sentito improvvisamente il richiamo di tornare a scrivere, complici una data da ricordare ed un capitolo tradotto che parla di come la rievocazione di immagini o ricordi nella propria mentre possano suscitare emozioni fortissime, nel bene o nel male.

Io dico che ci sono delle volte in cui ricordare non è necessario. Sono quelle volte in cui il passato vive ogni giorno nel presente, grazie ai gesti, alle parole, agli sguardi o alle attenzioni di qualcuno che hai accanto e ti fa sentire speciale anche quando ti senti depresso, inutile, insoddisfatto del tuo lavoro o semplicemente incazzato con il mondo intero. Una persona che ti mette nella condizione di non dover scegliere le parole quando le parli, ma di poter dire tutto quello che pensi o provi. Una persona che desidera sapere i tuoi sogni (e non si tratta di uno psicoanalista 😉 ), capire cosa ti spaventa, che ti dimostra giorno dopo giorno di condividere il tuo modo di pensare, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi valori, la sveglia la mattina, e lo stesso bagno :-P; il bagno di una casa con il tetto di vetro che ti protegge e allo stesso tempo ti permette di guardare l’orizzonte.

Oggi è il 24 Gennaio 2010 e oggi inizia il nostro 2.0
GC*

Come vedete anche il blog si veste di nuovo, ma il colore verde e la mazzetta Pantone… rimangono 😉

Another brick in the wall

09.11.1989 | 09.11.2009

“Tu non c’eri. Non avevamo ancora avuto il coraggio di pensarti. Sapevamo che farlo avrebbe significato condannarti alla prigione.Lì, con noi.
E avevamo paura. Quella paura di chi si infila per strada nei cortei, attento a urlare, ma non troppo. La paura di chi ha imparato negli anni a riconoscere un Giuda silenzioso e infagottato nel suo cappotto da 30 denari. Tu non c’eri quando ci rubavano il presente vendendoci un futuro glorioso e fiorente. Tu non lo sai cosa vuol dire battere le mani a comando, sorridere a comando, subire a comando e a comando far del male. Tuo padre e io non ti volevamo perché eri pericoloso. Come un pensiero di libertà, di fiducia, d’amore.
Tu non c’eri in quel labirinto dove noi ci sentivamo Icaro e guardavamo con speranza e sospetto Dedalo. Tu non c’eri mentre noi morivamo pian piano perché non abbiamo voluto che il filo spinato ti penetrasse nella carne, nei sentimenti, nei pensieri. Tu non hai visto quelli che sono partiti per non arrivare mai. Quelli che sono rimasti lì, ai piedi di quel muro, anche se li hanno portati via subito. Non c’eri in quei tunnel, in quei bauli, in quelle valigie, in quei palloni aerostatici cuciti a mano, sotto quelle auto a due centimetri dall’asfalto. Tu non lo sai che un annuncio funebre può essere un atto rivoluzionario.

Berlin_wall_by_Ali_photos
Tu non sai per quale motivo chi sogna di scappare muore aspettando, ma chi scappa per un sogno muore vivendo. Non lo sai. Non lo puoi sapere. Non c’eri. C’eravamo noi. Noi che non avevamo scelto di essere là, perché ci aveva scelti la Storia. Noi che non ti pensavamo neanche, per non farti male, per non farti schedare e obbligarti a tradire, a servire, ubbidire. Tu che sei così vivace, che ridi, che ti arrabbi e contesti. Tu che sei sincero. Tu che non hai bisogno di 30 denari. C’eravamo noi e c’eravamo in tanti, là, quella sera, perché tanti, troppi, non c’erano più. Era giovedì. Oggi, vent’anni fa. Quella notte abbiamo urlato più forte, strozzato lo strozzo della paura, guardato negli occhi chi aveva l’ordine di ammazzarci. E lui non ha urlato di fermarci, di alzare le mani, di tacere. Non ci ha sparato, non ci ha randellato. Ha chiuso gli idranti. Fermato i cingoli. Davanti a noi un fucile, dietro un soldato. Dentro, dopo 28 anni, un uomo. Ci ha sorriso. Ci ha aperto la porta sul mondo. E noi siamo usciti a respirare.

BERLIN___BERLINER_MAUER_by_Morween
E oggi sei qui e fra nove mesi compirai vent’anni, ma per noi la tua festa è adesso. E io ti regalo questa storia che non conosci e non puoi capire, perché tu non c’eri. E ti chiedo di difenderla. Difendila non perché è la storia del mio passato, ma perché è il lasciapassare per il tuo futuro”.

Pseudo-racconto di una madre testimone oculare al figlio oggi ventenne.