|Se esistono le parole per dirlo, è possibile|

Archivio per la categoria ‘Art’

Estetica(mente)

Oggi inizia il circo milanese della settimana della moda. Le gabbie sono ufficialmente aperte. Largo a modelle, fescionblogghers, stilisti, curiosi, fotografi, gente che “cioè io lavoro nella moda”, fenomeni da baraccone. Tra sfilate, casting, shooting, showcase ed after-party, si rischia di perdere di vista una cosa molto semplice: l’estetica.

Guardate le persone e non vi concentrate: troppa fatica a scremare la cultura delle immagini che impedisce di capire cosa veramente vi piace guardare. Gradite una persona od un paesaggio nella misura in cui tale persona e tale paesaggio somigliano all’ideale di persona e paesaggio che avete dentro, tutto il resto è merda, è indifferente, a volte non lo notate neanche. E non avete neanche il coraggio di risalire la corrente per giungere all’origine del vostro gusto estetico. Per carità, potreste scoprire che vi piacciono irrimediabilmente le ragazze brutte! Che figura ci fareste con i vostri amici se sapessero che avete un’insana perversione per i tagli, per le macchie, le ossa che spuntano? Sarà un caso, ma i vostri gusti combaciano con i canoni estetici che nascono e cambiano quando i canoni estetici cambiano. Non importa se discutere dei gusti altrui sia inutile, anche perché trovo oltraggioso che qualcuno ritenga i miei gusti una autosuggestione che serve solo a dare contro ai gusti delle altre persone. Forse se mi facessi un tatuaggio con scritto “osservazione” capireste che cosa faccio tutti i giorni, io! Sì, perché voi capite solo i tatuaggi, gli orecchini, i piercing, gli occhiali, le pettinature, i vestiti, i siti internet, le fotografie ritoccate, le fotografie che mostrano solo una parte di quello che c’è da vedere, le copertine, i giornali, i disegni un po’ grafici perché il tratto ormai è scomodo, i disegni sporchi apposta, perché per farvi capire che qualcosa è estemporaneo ed improvvisato bisogna scrivervelo sotto a caratteri totalitari. Capite i film se qualcuno che vi sta simpatico ve li spiega, altrimenti non vale nemmeno la pena di sforzarsi di stare due ore seduti in poltrona, perché, dio mio, potreste vedere qualcosa che non vi piace! La soluzione per voi? I film in bianco e bianco, muto! Il giornale di una pagina, vuoto!

E così sia.

 

Quello che ho imparato sul Design…

Dal Giulio 2.0 al Fuorisalone 2.0, che anche per quest’anno “se lo semo levati da le palle”.
Come il Natale, o altre feste, lo aspettiamo per un anno intero; quando arriva lo iniziamo un po’ a detestare, e poi ricominciamo ad aspettarlo. Se il Natale arriva con un seguito di buoni sentimenti, regali, caramelle e bla bla bla, il Salone del Mobile travolge Milano con mobili 😐 ed un seguito di coloro che chiamiamo più comunemente pazzeschi. Ora, immaginatevi che sia Piero Angela a leggere queste righe, perché di fauna andremo a parlare.
La specie dei pazzeschi è composta non solo da architetti, designer, e addetti ai lavori, ma anche da tutta una serie di giornalisti, fotografi, pubblicitari, video-maker e, soprattutto, coloro che non ci capiscono un cazzo di design… ma che devono esserci. Prima di proseguire, ci tengo a precisare che la categoria dei pazzeschi, mi incuriosisce,  mi diverte molto e mi è di gran lunga più simpatica di tutta la gente che ruota intorno al mondo della moda: la specie dei pazzeschi è di gran lunga più socievole ed aperta all’estraneo e al diverso. Come in tutti i gruppi di appartenenza sociale, l’importante è riconoscerli e parlare/capire il loro linguaggio.
Come si riconoscono? Innazitutto dall’abbigliamento: skinny jeans o pantaloni strettissimi al ginocchio (pantacalzaloni) da cui fuoriescono calze fluo o a righe, e mocassini a punta in alternativa a sandali o sneakers. Se dalla vita in giù l’abbigliamento è decisamente stretto, sopra l’ombelico si veste oversize e destrutturato (la mia mentore mi ha detto che quest’anno la giacca destrutturata “va un casino” 😮 ). La barba rigorosamente incolta e gli occhialoni sono fon-da-men-ta-li insieme a delle shoppers (borse della spesa), piene di inviti per after-party stampati su poliplat (volantini e opuscoli di feste stampati su del polistirolo pressato), stickers (patacconi),  gadget pins(minchiate ciulate dagli espositori).

Se le serate sono un festival dello sfascio a ritmo di una musica minimalista quanto i nuovi concepts e trends d’arredamento, la giornata è fatta di grande camminate tra le location della Zona Tortona e Romana, discorsi su cosa ciascuno ha on-air e abbuffate di cibo rigorosamente bio e salutare.
Il pazzesco è fan dell’ecologia e della bicicletta, che deve essere rigorosamente customizzata (truccata) e a scatto fisso o fixed (senza cambi e senza freni). Anche io da piccolo truccavo la graziella di mia mamma colorandola, togliendoci i freni e mettendo il cartoncino tenuto con la molletta tra i raggi, ma è un altro discorso.


Ora, la cultura dello scatto fisso nella bicicletta è tipica dei paesi nordici e dell’area fiamminga dell’Europa; è una filosofia di vita che vuole ritornare alle origini del ciclismo e riportare la bici alla sua concezione primordiale. Peccato che lo strumento deve essere sempre adeguato al contesto: voi andreste in giro con una bici da 800 Euro senza cambi, senza freni, e con le ruote da corsa, per Milano? Se sopravvivete allo smog, al pavè, ai binari dei tram, alla “civiltà” degli automobilisti milanesi, all’assenza di piste ciclabili, e ai furti… beh allora siete pazzeschi a tutti gli effetti 🙂
Vi lovvo un casino zii! 😀
G

Perseo vs Medusa

medusaGuardare avanti è l’unico modo che abbiamo per costruire, desiderare e vivere. Guardare indietro ci paralizza…ci pietrifica. Come nel mito di Perseo e la Medusa; se nella fuga dagli Inferi, Perseo si fosse voltato per guardare la Medusa, il mostro lo avrebbe pietrificato con lo sguardo. Ruminare a lungo sul passato e gli errori commessi non ci fa crescere, continuare a voltarci indietro ci pietrifica, ma sarebbe da presuntuosi non tenerlo in considerazione… quindi camminiamo in avanti guardando al passato attraverso una specie di specchietto retrovisore che ci ricorda la strada che abbiamo percorso, le sbandate e gli errori commessi.pegaso
Ciascuno di noi compie per diversi motivi, nella propria vita, un viaggio agli Inferi e ciascuno di noi per uscirne vivo decapita una Medusa da cui ne può scaturire sia il senso di colpa per il sacrificio, ma anche la libertà e non importa che abbia le sembianze di un cavallo alato come nel mito di Perseo e Medusa… l’importante è che ci porti lontano.

Il mio Impero della Luce

empire_of_lights1Come promesso, questa Mostra su Magritte è arrivata e, di conseguenza, anche questo post.
Un post su “L’Impero della Luce”  nel giorno di Santa Lucia?!? Vi giuro, niente di programmato, niente di pianificato come del resto – tanti di voi sanno – questo  mio (e non solo mio…) 2008.
Credo che il quadro di Magritte sia una bella istantanea di questo momento della mia vita. Sono sereno… si, sono sereno, come quel cielo, fatto di nuvole che mi ricorda i miei momenti autistici quando, da bambino, restavo immobile sull’altalena del parco giochi a guardare chissà quale punto indefinito nel cielo, mentre tutti gli altri bambini intorno a me si lanciavo dall’altalena in azioni suicida. La metà notturna del quadro mi ricorda tuttavia che ho ancora qualche lato oscuro, dove la luce del giorno della quotidianità non riesce a far breccia, non riesce a filtrare. L’unica fonte di luce che riesce a squarciare questa oscurità è il bagliore di un lampione… accesosi inaspettatamente e che (come ritiene una Persona che ne sa… e non solo di arte) proietta due ombre sulla parete della casa (il che è paradossale…). E’ solo la fiamma di un lampione, ma in questo momento è ciò che basta per illuminarmi tutto intorno e per riscaldarmi in queste freddissime giornate. 

Una nota sulla mostra. Il consiglio rimane quello di andare a vederla, soprattutto per le “raffinate” citazioni di Magritte riprodotte sulle pareti delle sale.

Ceci n’est pas un blog

pipe… direbbe René Magritte, detto anche “le saboteur tranquille” (e qui qualcuno dovrebbe apprezzare il mio ricorrere a francesismi 😉  )
Io non ci capisco molto di arte. Riesco a malapena a distinguere una litografia da una tela ad olio. Non conosco bene le tecniche pittoriche, a volte confondo perfino i Periodi Pittorici, però mi piace andare alle mostre, mi piacciono i musei e mi piace sedermi davanti ad un quadro e lasciarlo parlare. Spesso mi piace cercare pezzi di me (visto che ne ho lasciati in giro tanti) in quadri e fotografie.
Qualche mese fa ho scritto un post su Guernica di Picasso e del significato che ha quel quadro per me. A Palazzo Reale a Milano, hanno appena inaugurato una mostra su Magritte che non vedo l’ora di andare a vedere, soprattutto per un opera in particolare.  Non voglio però raccontarvi ora di che opera si tratta e del significato che ha per me, voglio vederla dal vivo, esserci davanti e contemplarla autisticamente con la testa reclinata sulla destra… provare un po’ di Sindrome di Stendhal insomma.
«Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati (…) ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.» 

E’ da un po’ che non bazzico musei, ma questa sensazione… da qualche giorno… la provo in ogni caso. 

Puoi trovare la felicità

B. Rheims

B. Rheims

Se credete di trovare consigli in materia… skip this post!!! Restiamo in tema di fotografia.
Puoi trovare la felicità” è il titolo della mostra fotografica personale della (a mio avviso) migliore fotografa vivente, ovvero Bettina Rheims. Una mostra tutta al femminile, perchè proprio le donne sono i soggetti.
La Rheims, che la considero un po’ come la Fallaci della fotografia (classe 1952, ex giornalista ex fotoreporter da Shangai, ex fotografa ufficiale di Chirac) ha passato gli ultimi trent’anni della sua vita a fotografare donne, dalla spogliarellista alla diva del cinema, dalla studentessa alla top-model, mettendole in scena e facendo loro interpretare identità complesse che uniscono forza e debolezza, perfezione fisica e dettagli imperfetti della quotidianità.
Chiaramente, gli uomini ne sono esclusi, sono solo spettatori… ma non è forse quello che ci sollecita spesso fantasie inconscie e morbose?!?!

Beh, una mostra che va vista in ogni caso all’interno di quel contesto espositivo straordinario che è lo Spazio Forma (Centro Internazionale di Fotografia).

La “mia” Guernica

“L’avete fatto voi maestro?”, “No, l’avete fatto voi con i bombardamenti” (Risposta di Picasso ad un ufficiale dell’aeronautica tedesca in visita al suo studio).

Non potevo lasciare Madrid senza aver visto quest’opera, uno dei miei quadri preferiti in assoluto (ne tengo una riproduzione sopra la mia scrivania in studio a Milano). Si trova al Museo Reina Sofia, in una sala tutta sua (viste le dimensioni, alta 3.50m e lunga 7.82m). Mi sono seduto per terra contro il muro e sono rimasto ad osservarla come un bambino, con il collo piegato a destra per non so quanto tempo. Per quanto sia un opera drammatica e straziante e cupa, mi dà speranza; quella mano che regge la candela, è un bagliore di speranza che può fare luce nella vita di ognuno di noi.

Curiosità: Se vi capita di andare a fare un giro all’ONU a New York (per lavoro o per spasso) la guida vi porterà attraverso il corridoio che sta davanti alla sala del Consiglio di Sicurezza. Lì si trova un arazzo che rappresenta Guernica. Quindi, ogni qual volta Kofi Annan ed ambasciatori vari escono a fare dichiarazioni per la stampa l’arazzo viene inquadrato in secondo piano. Nei mesi però in cui si discuteva di un eventuale guerra preventiva in Iraq i vertici ONU hanno ritenuto che non fosse poi così opportuno farsi riprendere con un tale manifesto dello scempio della guerra. Fatto sta che l’arazzo è stato coperto da un drappo blu. La risposta di un portavoce dell’ONU è stata che  misto di bianchi, neri e grigi dell’arazzo producevano un effetto di confusione visiva… (!!!)

G (…a breve qualche foto)

Francesco Pancetta

…mmmh panceeettaa…No, sta volta Homer non c’entra. Questo post riguarda la mostra del pittore Francis Bacon a Palazzo Reale a Milano; un pittore di rottura. Anzi, uno degli ultimi pittori espressionisti di rottura. Nasce a Dublino nel 1909, si spegne a Madrid nel ’92. Ambiguo e discusso, figlio della guerra e di un militare rigido, autoritario, cui inevitabilmente s’oppone. Il padre non è proprio il suo modello. Piuttosto è legato alla nonna materna, forse è merito suo se sviluppa un simpatico piacere per i vestiti femminili. E diventa gay. E viene cacciato di casa dal padre dopo averlo sgamato mentre indossava i vestiti della nonna. Lascerà tutto in eredità al compagno gay. Vive tra Londra, Berlino, Parigi, Madrid quindi esclusivamente in centri di rilievo. Solito percorso difficile, poi esplode nel secondo dopoguerra.

Lo definirei l’uomo del tormento, ma non ho mai studiato da vicino l’opera di Bacon, che opera a partire dagli anni ’20, iniziando anche con stracci e mobili. Sì, stracci. E vendevano eh! Sarà che nei programmi delle scuole superiori i docenti di arte (anche se per quanto ne so i docenti di tutte le materie compiono questa scelta enormemente stronza) si avvicinano con una certa refrattarietà all’arte del secondo dopguerra, salvo quell’arte chiamarsi pop art.
Beh Francis Bacon non è pop, cominciamo da questo, è sicuramente più vicino all’espressionismo. E se proprio proprio – ma no! – ci fosse un legame col popismo, dovremmo pensare all’idea all’origine della serie “Crash and Disasters” di Warhol, l’irrompere della cronaca più brutale.
Ma Bacon l’ho colto molto più esistenzialista, essenzialista, anche se avrà pur recuperato il tutto da qualche parte: quella di Francis Bacon si presenta come una pittura anzitutto vivida, di contrasto, scissioni, scontri, perchè raffigura i contrasti, la carnalità, la disperazione cioè l’uomo essenziale secondo lui, una pittura gridata. Che talvolta schernisce il potere e sa essere anche molto seriosa eh. Ed è sempre deformata, vituperata, antinaturalistica: volti graffiati, arti allungati.

Egli in primis ovviamente è mica tanto a posto. Non ordinario. Forse tormentato, forse confusionario (ma bisognerebbe aver letto i soliti diari dell’artista, se ci sono).
Voglio che la mia vita sia il più libera possibile, voglio solo il migliore tipo di atmosfera in cui lavorare“. Ad esempio dipinge esclusivamente nel suo studio, un ambiente disordinatissimo perchè insomma gli ambienti ordinati non gli piacciono troppo. Lui è confusionario, dicevo.

Bacon in una frase: “Cosa credevate che dipingessi? Rose nel secolo degli orrori?”