|Se esistono le parole per dirlo, è possibile|

Archivio per la categoria ‘Scritture compulsive’

Ogni cosa è illuminata

“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… dall’interno guarda l’esterno, come dici tu alla rovescia… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia vita.

Pensi che io sia bellissima? Gli chiese un giorno e si appoggiò al tronco di un acero pietrificato. No, ha detto. Questo perché tante ragazze sono meravigliose. Immagino centinaia di uomini che oggi hanno chiamato i loro amori meravigliosi ed è solo mezzogiorno. Non puoi essere qualcosa che centinaia di altri sono.
Questo è amore, pensava, non è vero? Quando si nota l’assenza di qualcuno e odi quell’assenza più di ogni altra cosa?”

Ogni storia nasce da un’assenza.

Ogni cosa è illuminata | J.S. Foer

Estetica(mente)

Oggi inizia il circo milanese della settimana della moda. Le gabbie sono ufficialmente aperte. Largo a modelle, fescionblogghers, stilisti, curiosi, fotografi, gente che “cioè io lavoro nella moda”, fenomeni da baraccone. Tra sfilate, casting, shooting, showcase ed after-party, si rischia di perdere di vista una cosa molto semplice: l’estetica.

Guardate le persone e non vi concentrate: troppa fatica a scremare la cultura delle immagini che impedisce di capire cosa veramente vi piace guardare. Gradite una persona od un paesaggio nella misura in cui tale persona e tale paesaggio somigliano all’ideale di persona e paesaggio che avete dentro, tutto il resto è merda, è indifferente, a volte non lo notate neanche. E non avete neanche il coraggio di risalire la corrente per giungere all’origine del vostro gusto estetico. Per carità, potreste scoprire che vi piacciono irrimediabilmente le ragazze brutte! Che figura ci fareste con i vostri amici se sapessero che avete un’insana perversione per i tagli, per le macchie, le ossa che spuntano? Sarà un caso, ma i vostri gusti combaciano con i canoni estetici che nascono e cambiano quando i canoni estetici cambiano. Non importa se discutere dei gusti altrui sia inutile, anche perché trovo oltraggioso che qualcuno ritenga i miei gusti una autosuggestione che serve solo a dare contro ai gusti delle altre persone. Forse se mi facessi un tatuaggio con scritto “osservazione” capireste che cosa faccio tutti i giorni, io! Sì, perché voi capite solo i tatuaggi, gli orecchini, i piercing, gli occhiali, le pettinature, i vestiti, i siti internet, le fotografie ritoccate, le fotografie che mostrano solo una parte di quello che c’è da vedere, le copertine, i giornali, i disegni un po’ grafici perché il tratto ormai è scomodo, i disegni sporchi apposta, perché per farvi capire che qualcosa è estemporaneo ed improvvisato bisogna scrivervelo sotto a caratteri totalitari. Capite i film se qualcuno che vi sta simpatico ve li spiega, altrimenti non vale nemmeno la pena di sforzarsi di stare due ore seduti in poltrona, perché, dio mio, potreste vedere qualcosa che non vi piace! La soluzione per voi? I film in bianco e bianco, muto! Il giornale di una pagina, vuoto!

E così sia.

 

Chi ce lo fa fare?

A volte facciamo cose di cui noi per primi non ne comprendiamo il perchè… non ne comprendiamo le motivazioni.
Chi me lo fa fare di mettere la sveglia alle 6.30 di domenica mattina (la più fredda dell’anno), salire in macchina, guidare per tre quarti d’ora e correre 11 chilometri a Ponte dell’Olio (-4°C)?
Forse il bisogno di ritrovarsi e bere un caffè in un Circolo per Lavoratori con qualche anziano intorno che sfoglia la Gazzetta e nessun “giacca-e-cravatta” che gioca con le applicazioni dei quotidiani. Il bisogno di guidare per la pianura padana, verso le colline, dove una nebbia che fa molto Mastino dei Baskerville di Sherlock Holmes lascia via via spazio al sole e alla prima alba del 2011 a cui assisto. Forse quel bisogno di estremo che sotto sotto c’è in ciascuno di noi, perchè se lo sport è praticato con meteo avverso ci piace ancora di più; nel nostro piccolo vogliamo sentirci un po’ eroi.
Forse il bisogno di lasciarsi alle spalle un inverno piovosissimo in cui mi sono sentito immobile e veramente in letargo. Bisogno di prendere distanze… bisogno di correre verso qualcosa. Bisogno di un traguardo, e poi di un altro e un altro ancora, senza pensare a limiti.
Bisogno di correre con qualcuno 🙂
Bisogno di ascoltarsi. Non capisco chi corre con l’ipod. Io faccio molta fatica a correre con la musica nelle orecchie, anche quando sono solo. Mi impedisce di ascoltare se e come sto respirando, il ritmo che sto tenendo, i rumori, il cuore.
Certo, correre 11 Km non è chissà quale distanza eroica, ma era un passo che andava fatto, per allontanarsi… per avvicinarsi.

Sono contento. Punto.

Ah, dimenticavo: Buon 2011!

Maledetto Indie-Rock

Questa mattina, Mario De Santis (mitica voce di Radio Deejay e ora a Radio Capital) scriveva sul suo Facebook: “stare sveglio da presto, leggendo un libro di poesie in pigiama e non avere postumi da sbronza e non avere foto scattate con l’iphone in un locale figo di Milano da postare su FB per testimoniare quanto sono pazzo con i miei amici creativi e la bionda di turno”. Parole giuste al momento giusto che mi permettono di rispolverare dalle bozze un vecchio post mai pubblicato su coloro che si atteggiano da Indie-snob.

In principio furono gli Anni ’80.
Si viveva in un mondo con gli Smiths e Joy Division e solo dopo i New Order, Simple Minds e, a loro modo, pure gli Spandau Ballet. E come potrebbe essere diversamente, anche se in molti giurano di no. Ma insomma, questi Hurts che ultimamente sono sulla bocca di tutti i fescionisti e fescioniste, pensate davvero si siano inventati qualcosa di nuovo?

Anyway… non so ancora bene che piega prenderà e dove andrà questo post che mi frulla nella testa da un po’ di tempo. So solo che volevo parlare di New Wave che ha a che vedere, per forza di cose, con gli Anni ’80, ma non necessariamente con l’Indie che però è un termine che oggiggiorno per Milano fa tanto creativo ed è sulla bocca di tutti quelli che vogliono fare i ricercati… perciò lo userò anche io 😉

Mi muoverò con i piedi di piombo, anche se, detto tra me e voi, mi sento molto più portato a creare e consigliare playlist, piuttosto che …come si dice… outfit. Però era da tanto che non parlavo più di musica o la condividevo con voi.
Dove eravamo rimasti? Ah si, New Wave!

Avete presente, no? Questi tipi, col ciuffo, i vestiti attillati (skinny), spesso neri o il ciuffo piastrato (o peggio ancora rasatura sopra le orecchie e capello come se fosse leccato da una mucca), i vestitini stretti, le giacchette striminzite e le scarpette a punta, o le bluse ampie e le bretelle come gli Hurts di cui vi ho parlato sopra, ma soprattutto la voce: profonda.
Indie sta per indipendente e la prima volta che mi approcciai a questo termine e alla sua musica mi trovavo a Londra, varcando la soglia del Camden Palace. Curioso per la “Indie Night” pensavo di trovarmi dei frikettoni che suonavano dei sitar elettrici, un po’ alla Kula Shaker e seguivano qualche filosofia orientale. E invece no, loro stavano già tutti un pezzo avanti a me. Che poi in quel periodo i miei principali fornitori di musica in Cd e ancora qualche musicassetta erano Muzak di Casale (RIP), Napster (RIP) e un certo sito che si chiamava Last FM, che in realtà c’è ancora, ma non ti spaccia più musica aggratis. Ma quanto è faticoso stare al passo con gli Indie?!?

Quindi, faccio l’Indie-Snob e vi suggerisco la mia personalissima Indie-Lista, dove alcuni dei gruppi sono vecchie glorie… come il sottoscritto.
No, scusate, il sottoscritto è solo vecchio.

Interpol – No I in threesome
Editors – The racing rats
White Lies – To lose my life
Arcade Fire – Rebellion
Primal Scream – Can’t go back
The Bravery – Honest mistake
Hard Fi – Suburban knights
Scitdisco – Reactor Party
The dead 60’s – Riot radio
The Faint – The geeks were right
The Drums – Let’s go Surfing
The Hacienda – 1 AM
The Strokes – Last night
Babyshambles – Carry on up the morning

Diffidate dagli pseudoterapeuti

D: Con l’avvento del digitale abbiamo vissuto una dilagante diffusione di accessibilità alla produzione di immagini. Alcuni credono che questo abbia abbassato la qualità in generale della fotografia. Lei che ne pensa?

R: L’accessibilità non è il problema. Mi ricordo di quando, con l’arrivo delle macchine con l’esposimetro incorporato, e poi automatiche, molti si lamentavano che “ormai tutti potevano fare delle fotografie”. La fotografia è sempre stato un artigianato facile, accessibile. Ma anche nelle arti “difficili” i mediocri sono sempre stati la maggioranza. Non è l’accessibilità che fa la differenza. La differenza la fa la comprensione del mondo, la passione per quello che si ama o si odia, la capacità di raccontarlo, la capacità di inventare strumenti adeguati al tempo che stiamo vivendo. Altro che digitale.

Lo tengano in mente anche certi colleghi psicologi o pseudoterapeuti che dovrebbero mettere ogni tanto la testa fuori dal loro studio e smettere di ricondurre TUTTO a Sigmund Traumatizzatodalpadre Freud. Non potete continuare a vivere in un’epoca diversa da quella dei vostri paziente. Svegliatevi cazzo!

Giocare con i centimetri

Non è un tutorial sulla fotografia macro.
Quando scrivo sul blog faccio tendenzialmente confluire una serie di idee, bozze, bozze di idee appuntate giorno dopo giorno sul cellulare, agenda, o post-it, che poi il mio (ancora per poco) jurassico PowerBook G4 traduce in caratteri digitali. In tre giorni di Residenziale del CMTF a Genova – che, con il massimo rispetto per tutta la vita a De Andrè, è diventato un bell’eco-mostro sul mare – di appunti me ne sono presi. Oggi è domenica e, come tutte le ultime domeniche, c’è un bel tempo di merda. Sono in camera mia a Casale; quando ero piccolo echeggiavano per la casa le cronache dagli stadi di Tutto il Calcio Minuto per Minuto… oggi sento Fini ciurlare nel manico e non dire nulla di sinistra, ma solo sinistre affermazioni. Vorrei essere come il mio eroe Hiro Nakamura, in grado di piegare lo spazio tempo, ed essere con chi* oggi sta lavorando a cui non può che volare il mio pensiero ed il mio abbraccio.
Non mi resta che girare nervoso per casa guardando un po’ fuori dalla finestra, leggendo l’ultimo numero di Internazionale (ma vedere l’opinione che il mondo ha dell’Italia mi fa solo venire l’ulcera), leggendo “La terapia come costruzione sociale” (…niente di nuovo), surfando tra blog che sono solo sbrodolate di vita (…lo pensate anche di Frenkology?!?).
Mi incontro col Pizza per un caffè prima che riparta per Berlino, estraggo il mio totem dalla tasca e comincio a fissarlo. I miei occhi sono su una focale f/2.8, mettono a fuoco prima i centimetri più vicini e poi quelli più lontani. La vita è un gioco di centimetri, come diceva Al Pacino in Any Given Sunday, che fa la differenza non solo tra il vivere e il morire, ma anche tra tra ciò che siamo e ciò vorremmo essere, tra ciò che è importante mettere a fuoco e ciò che può rimanere sullo sfondo.
Ecco, sapete che faccio? Prendo un bel foglio, un pennarello verde (fa molto Renzo Piano, lo so…) e comincio a tracciare qualche centimetro.
Per unire, non per dividere 😉

Cercasi il Frenk Disperatamente

Ecco che nella notte di Halloween, il dato per disperso… ritorna.
Che fine ho fatto? Rompo il silenzio stampa e vi confido che non sono stato ar gabbio.
Ammetto che ho un archivio di bozze, pensieri, parole, opere ed omissioni lasciati a metà; un po’ perché non mi convincono, un po’ perché non ho tempo, un po’ perché dopo una giornata passata davanti al mio JurassickBook, ho voglia di tutto tranne che di riaprirlo.
In questo mese e mezzo mi sono dedicato alle seguenti attività:
– Un tagliando necessario al fisico
– Mi sono emozionato seguendo i passi di chi* ha iniziato una nuova avventura professionale
– Ho impresso nella memoria e su scheda digitale il matrimonio di Dade e Paoli
– Ho corso poco
– Ho photoshoppato abbastanza
– Ho letto molto
– Ho ascoltato tanta musica
– Ho fatto ballare gente
– Ho fatto volontariato
– Ho visto molto il cielo di Torino
– Ho sbagliato
– Ho trovato il mio totem
– Ho compilato una constatazione amichevole
– Ho abbracciato il mio amico Guasco che è diventato padre di Margherita
– Ho ascoltato Mariasole pronunciare il mio nome per la prima volta
– Ho mangiato la pizza con dei tredicenni
– Ho imparato a fare le zuppe e le verdure fusion saltate in padella
– Ho fatto i biscotti G&C
– Ho stretto i miei primi biglietti da visita tra le mani (distribuendone anche qualcuno)
– Ho scoperto l’essenza del Post-It
– Vi ho tenuto d’occhio
– Sono andato a letto presto (cit.)

Ho scoperto una grande verità, o forse solo l’acqua calda.
Ho scoperto che se esistono le parole per dirlo, allora è possibile.
Nuovo tema… nuovo pay-off.

Riformulare il calendario

Agosto è sempre stato un mese freddo. Avete mai sentito Giuliacci o il fù Bernacca parlare di “medie stagionali superiori alla norma” in Agosto? Ma nooo, succede solo in Giugno o Luglio. Se devo proprio dirla tutta, Agosto non mi è mai stato molto simpatico. Quando ero piccolo voleva dire conto alla rovescia all’inizio della scuola o gli esami in università, meno tempo per giocare o stare fuori con gli amici, avere l’ansia dei compiti delle vacanze che non potevano più essere rimandati (soprattutto l’anno in cui mi avevano dato matematica a settembre… mortacci), non sapere bene dove andare, cosa fare (soprattutto dopo la sagra cittadina di S. Bartolomeo), sperare che arrivasse l’inverno. Agosto era il mese in cui scrivevo lettere ad amici e amiche conosciuti in vacanza. A Settembre mi ero già rotto i cogli**i di scrivergli. Insomma, mentre Giugno e Luglio sono vibranti, Agosto odora di fine estate.

Negli ultimi anni poi Agosto si è tinto di colori surreali. E’ stato il mese in cui andavo a lavorare all’estero (Londra in primis e poi Usa); due anni fa ero in marcia verso Santiago de Compostela.

Caro Agosto, solo ultimamente ho scoperto alcuni tuoi lati tenuti nascosti. Sei anche il mese della progettualità e del desiderio di rimetterti in gioco a 360°. Diciamocelo, l’anno nuovo non inizia a Gennaio, inizia a Settembre e si porta un sacco di buoni propositi (smetto di fumare, mi iscrivo al corso di inglese, spagnolo, fotografia, cucina, nuoto, palestra, bungee jumping e bla bla bla). Agosto quindi è un po’ come Dicembre, non solo freddo (e qui sostanzio il mio esordio di post), ma può colorarsi e riempirsi di aspettative.

Lo so, è molto contorto come pensiero, per questo lo scrivo ora mentre siete tutti in vacanza e non legge nessuno 😉

Anche il sottoscritto è in vacanza e solo di passaggio a casa per mettere in lavatrice felpa e pantaloni da olandese, e tirare fuori dall’armadio racchettoni e costume da riviera romagnola.

Anche a sto giro il sottoscritto non farà come i bloggher più cool e le bloggher più fescion che pubblicano post live on-the-road, e non si porterà il suo jurassic mac book da quindici pollici.

Al suo rientro aspettatevi però uno storyboard fatto di immagini e parole delle sue/loro vacanze.

Perchè da un certo punto in poi ha iniziato a parlare in terza persona?
Non lo sa.

Agosto Agosto… finalmente ti conosco!!!

Io sono… io sono… io sono…

Patrizia Valduga, poetessa e traduttrice italiana, scrive:

“Io sono sempre stata come sono,
anche quando non ero come sono,
e non saprà nessuno come sono,
perché non sono solo come sono”.

Mi sono imbattuto casualmente in queste parole spulciando il blog di Sua Maestà Benedusi Settimio. Tra qualche giorno si parte e puntualmente, prima di ogni viaggio, scorazzo per siti di fotografia, sfoglio riviste e guardo il National Geographic Channel… così, giusto per risvegliare la mia sensibilità per le immagini dopo un anno passato a dar maggior ascolto alle parole.

Beh, da quando mi sono imbattuto in queste parole, ho iniziato a ripetere questa quartina come un mantra, compulsivamente. Spesso ce ne dimentichiamo, soprattutto nei momenti più difficili, quando l’unica cosa che tendiamo a mettere in discussione siamo noi stessi, la nostra vita, la nostra professionalità, la nostra capacità di amare e lasciarci amare. Non è proprio il caso di scomodare Sigmund Cheduepalle Freud per sapere che siamo spesso infinitamente severi con noi stessi (e lasciamo stare l’autorità del Super-Io).

Noi siamo i ricordi della nostra infanzia, le fotografie sbiadite su carta chimica, i racconti dei nostri nonni, le rughe sui volti dei nostri genitori, i segni sul nostro corpo, lo scatolone dei giocattoli, i libri dalle pagine ingiallite sulle mensole, il lavoro che ci piace fare e quello che desideriamo. Siamo le delusioni e le perdite che ci troviamo ad affrontare e a cercare di colmare.

Dimenticando tutto questo tutto questo… dimentichiamo chi siamo.

Detto ciò, io sono in ferie e NOI si va in vacanza.
Dall’Isola del Giglio alla Terra del Papavero. Si va in Olanda.
Si smette di correre (ma solo per un po’) per andare in bicicletta.

Speriamo di perderci… e ritrovarci ‘tillsammans’ 🙂

Buona Estate

La vita è come il Tetris

Giornate segnate da attaccamento alla vita, compleanni, addi al celibato e nubilato, battesimi, matrimoni. Mi viene da pensare all’esperienza, che è inversamente proporzionale alla gioventù: si colma la perdita dell’una con l’acquisizione dell’altra.

In periodo di Mondiali, mi viene da dire che l’esperienza gioca in difesa quando la gioventù gioca in attacco, e nel loro equilibrio si sviluppa la vita.
Sì, penso che la vita non sia come la scatola di cioccolatini della mamma di Forrest Gump. Penso che la vita sia come il Tetris. Si può nascere pezzo quadrato, pezzo lungo, pezzo a T o pezzo a L. Non importa che pezzo nasci. Quello che si deve cercare è l’incastro. Possiamo ruotare o accelerare la discesa/ricerca, e ci è dato un intervallo di tempo per prendere la decisione.

Fare l’amore è un incastro perfetto.
Giocateci… a Tetris 😉